Articoli sul valutare

51 articoli di Bruno Cancellieri
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Da bambino ho imparato che l'amore e la stima che ottenevo dai miei genitori erano condizionati ad un certo mio comportamento. Quel comportamento è così diventato per me un modello di virtù, in quanto mezzo per ottenere amore e stima. Da grande continuo in parte a comportarmi in quel modo sperando in una ricompensa affettiva, ma i miei genitori non ci sono più, e i miei coetanei non sono disposti a premiarmi per quel comportamento.
Abbiamo bisogno di sentirci uniti da una reciproca approvazione e benevolenza. Scambiarsi gli auguri di buone feste ci illude in tal senso, ma l'illusione dura poche ore e poi ci sentiamo di nuovo disuniti. Per farci sentire davvero uniti, è necessario qualcosa di più sostanziale e concreto, e precisamente la condivisione di certi valori intellettuali, morali ed estetici, cosa impossibile senza l'appartenenza ad una stessa comunità filosofica.
Il significato e il valore di ogni cosa è sempre soggettivo.

Infatti, nessuna cosa ha un significato e un valore in sé, se è vero che solo degli agenti viventi senzienti possono assegnare significati e valori alle forme e alle cose che percepiscono.

Ne consegue che una stessa cosa può avere significati e valori diversi per diverse persone. Questo safrebbe vero anche se il 99% della gente assegnasse lo stesso significato e valore ad una stessa cosa.
In certi messaggi, il ricevente legge o interpreta valutazioni, anche quando non erano nelle intenzione del mittente.

Dal messaggio, il ricevente cerca di capire come il mittente valuta se stesso, come valuta gli altri, e in particolare come valuta il destinatario del messaggio stesso.

Infatti, la reazione emotiva e cognitiva al messaggio da parte del ricevente dipende molto dalla propria condivisione o dal proprio rifiuto dalle presunte valutazioni in esso contenute.
La ricerca di una valutazione positiva della propria persona da parte degli altri, la più positiva possibile, è un'importante chiave di comprensione del comportamento umano.

In altre parole, se volete comprendere una situazione sociale, chiedetevi quali sono le dinamiche di valutazione tra gli attori che agiscono nella situazione stessa, ovvero chi valuta chi (ognuno valuta ogni altro e si sente valutato da ogni altro), secondo quali criteri e con quali conseguenze gerarchiche.
Gli altri mi valutano (in funzione dei loro interessi) per ogni cosa che faccio e che non faccio, che dico e che non dico, che penso e che non penso, che sento e che non sento, sia quando io sono in compagnia, sia quando sono solo.

Allo stesso tempo io valuto gli altri (in funzione dei miei interessi) per ogni cosa che fanno e che non fanno, che dicono e che non dicono, che pensano e che non pensano, che sentono e che non sentono, sia quando essi sono in compagnia, sia quando sono soli.
La nostra mente tende a dare giudizi di valore in modo ternario e senza misura, nel senso che una cosa viene solitamente giudicata come (1) indifferente, oppure (2) buona, oppure (3) cattiva, mentre in realtà ogni cosa può essere in una certa misura indifferente, in una certa misura buona e in una certa misura cattiva, e le misure possono cambiare a seconda delle circostanze. Gli umani, infatti, si differenziano anche per la capacità, più o meno grande, di giudicare con misura, cioè relativamente e non assolutamente.
Il valore di una cosa o persona per una persona è il grado della sua desiderabilità per la persona stessa.

Il prezzo di una cosa o di una persona per una persona riflette il valore che il proprietario della cosa o persona gli attribuisce ed è ciò che esso chiede in cambio per concederla.

Il costo di una cosa o di una persona per una persona è lo sforzo necessario per ottenerla, e dipende dal suo prezzo.

Se il costo di una cosa o persona è più alto del suo valore per una persona, allora questa vi rinuncia perché non ne vale la pena.
Ogni umano ha bisogno di essere accettato come membro di una comunità per lui congeniale, in un ruolo e un livello gerarchico corrispondenti alla propria autostima.

Quando la stima ottenuta da una persona è inferiore alla propria autostima, si genera un'ostilità tra colui che si sente sottostimato e il sottostimatore, ostilità che comporta una crescente svalutazione reciproca.

Se la discordanza di valutazioni non viene risolta, eventualmente con l'intervento di altre persone, colui che si sente sottostimato può essere indotto ad abbandonare la comunità da cui desiderava essere accettato.
Qualche settimana fa ho avuto una specie di illuminazione o rivelazione: ho capito che il concetto di valore, unito sistematicamente a quello di valutazione, possono costituire una chiave di comprensione di gran parte dei comportamenti umani sociali e interpersonali, altrimenti inspiegabili. In particolare ho scoperto un'importante relazione tra il valore che un individuo dà alle cose e alle persone e il valore che gli altri gli conferiscono e conferiscono a se stessi in quanto persone. Inoltre il concetto di valore personale è essenziale nella competizione e nella costituzione delle gerarchie sociali.
La gente parla, parla, parla. A quale scopo? Secondo me lo fa soprattutto per socializzare, per fare comunità, per condividere qualcosa, non importa cosa. Per stare in compagnia, per sfoggiare la propria “normalità”, cioè la propria dignità sociale, e per dimostrare di meritare il proprio status.

A volte la gente parla anche per per scambiare beni e servizi, per cambiare la società e la natura, per fare dei fatti, ma questo genere discorsi è largamente minoritario e a molti dà anche fastidio, specialmente a coloro che non amano i cambiamenti di stato, di gerarchie e di valori.
Se la preoccupazione principale di un essere umano è il modo in cui gli altri lo valutano, allora egli ha due scelte strategiche da perseguire. La prima è scegliere come comportarsi con le persone con cui interagisce abitualmente, in modo da ottenere o mantenere valutazioni migliori. La seconda è scegliere altre persone con cui interagire, in modo da ottenere valutazioni migliori. In entrambi i casi i costi per l’ottenimento delle valutazioni dovrebbero essere sostenibili.

Insomma, per ottenere o mantenere valutazioni migliori, si tratta di migliorare il proprio comportamento o le proprie compagnie, o entrambe le cose.
Siamo governati da algoritmi biologici autoapprendenti che valutano e prevedono (inconsciamente e automaticamente), per ogni ipotesi di azione, relazione, evento e cognizione, aspetti quali: piacere, dolore, costi, benefici, fattibilità, valenza sociale, probabilità, necessità ecc.

In altre parole, questi algoritmi calcolano costantemente valori, potenzialità, poteri e doveri relativamente ad ogni forma o idea oggetto della nostra attenzione o considerazione.

Le nostre scelte, decisioni, motivazioni, risposte e azioni (conscie e inconscie, volontarie e involontarie) dipendono dai risultati di tali calcoli.
A mio parere non esistono valori assoluti dato che i valori dipendono dai fini e questi non sono universali. Infatti ognuno può avere fini più o meno diversi da quelli altrui. Di conseguenza, ognuno ha il diritto di ritenere i propri valori più validi di quelli altrui (rispetto ai propri fini), ma non quello di imporre i propri valori o di sanzionare quelli altrui, a meno che non contravvengano leggi stabilite democraticamente. Riassumendo, dobbiamo considerare innanzitutto i fini, poi i valori come strategie per raggiungere i primi. Perciò prima di discutere di valori occorre discutere di fini. Tuttavia molti non sanno distinguere tra valori e fini.
Una delle cose più irritanti, indisponenti e insopportabili per un essere umano è la percezione che qualcuno si ritenga superiore a lui. Questo fatto è causa di almeno tre inconvenienti: il primo è che chi vuole insegnare qualcosa agli altri deve fingere di non essere superiore a loro sebbene lo sia almeno nella materia d'insegnamento, altrimenti non avrebbe nulla da insegnare loro; il secondo è che l'uomo non impara nulla da coloro che non nascondono la propria superiorità, restando così ignoranti; il terzo è che l'uomo non cerca di superare se stesso perché se lo facesse supererebbe anche qualcun altro, e questo guasterebbe i suoi rapporti con le persone superate.
Ogni opera culturale (letteraria, teatrale, cinematografica, artistica ecc.) attribuisce implicitamente valori positivi o negativi a certi personaggi o categorie di persone, in modo più o mento drastico, raffinato, sfumato o ambiguo.

Tale attribuzione di valori e disvalori è ciò che inconsciamente più intereressa il visitatore (lettore, spettatore) dell'opera, il quale, mediante essa, può valutare se stesso in base alla somiglianza del proprio carattere con quello dei diversi personaggi, e in base alla propria appartenenza alle categorie a cui i diversi personaggi appartengono.

In altre parole, il lettore/spettatore cerca se stesso e la propria valutazione nell'opera visitata.
Ognuno di noi vorrebbe che gli altri riconoscessero la superiorità della propria forza, della propria intelligenza, delle propria abilità, delle proprie conoscenze, della propria bellezza e/o della propria bontà, innocenza e conformità alle norme sociali.

Questo desiderio è destinato ad essere dolorosamente frustrato per la maggioranza di noi, giacché la superiorità di uno implica l'inferiorità di un altro.

Tuttavia il progresso umano, sia quello tecnico che quello intellettuale e quello morale, è dovuto proprio alla ricerca di tali riconoscimenti, cioè alla motivazione a superare gli altri nelle diverse virtù.
In una biblioteca tutti i libri hanno la stessa dignità in quanto libri, ma i loro contenuti, in quanto strumenti per capire la realtà e la natura umana, hanno un valore alquanto diverso tra loro.

In tal senso, su ogni mille di libri ce n'è forse uno che da solo vale più di tutti gli altri messi insieme, senza contare che molti libri, anche di grande successo, come la Bibbia e altri di contenuto religioso, sono pieni di falsità più o meno pericolose.

Il problema è che non vi sono classifiche universalmente riconosciute sul valore relativo dei libri a nostra disposizione per cui ognuno di noi deve faticosamente orientarsi tra l'immensa offerta disponibile cercando di individuare i libri di maggior valore.
Secondo me la realtà di una cosa, vale a dire la sua essenza, le sue qualità, e i sui valori consistono nelle sue capacità di interazione, cioè nei modi, nei meccanismi e nelle logiche con cui può interagire (= agire e/o reagire, scambiare informazioni e/o energie) con il resto del mondo.

Una cosa che non può interagire in nessun modo con altre cose non può esistere, nel senso che non è possibile conoscerla, né misurarla, né comunicare con essa. La possiamo solo immaginare, e infatti immaginiamo tante cose inesistenti. Per questo io sono contrario al concetto di "ontologia", di "essere in sé" e di "valore in sé".

Non possiamo conoscere le cose in sé, ma solo le interazioni tra le cose. L'ho imparato da Gregory Bateson.
In natura, nessuna cosa ha un nome, né un significato né un valore indipendentemente dagli uomini. Sono questi che danno alle cose nomi, significati e valori come loro conviene, diversi da cultura a cultura, e perciò nomi, significati e valori possono cambiare, ovvero sono sempre relativi. Ciò che invece in natura esiste indipendentemente dagli uomini sono le strutture fisiche e biologiche, che definiscono le relazioni e interazioni tra le parti che costituiscono i sistemi viventi e non viventi ai vari livelli strutturali. A differenza dei nomi, significati e valori, che sono sempre relativi, si può dunque affermare che le strutture fisiche e biologiche siano assolute, e che tutto ciò che avviene dipende da esse, ovvero è relativo ad esse.
Le valutazioni non sono fini a se stesse, ma servono a determinare comportamenti e rapporti nei confronti delle cose e persone valutate.

Infatti una diretta conseguenza delle valutazioni interpersonali sono le gerarchie di potere, laddove chi riscuote le valutazioni migliori occupa le posizioni gerarchiche più alte e costituisce un modello di comportamento in senso politico, morale e/o estetico.

Oltre alle gerarchie di potere, le valutazioni danno luogo a gerarchie di valori riferite a oggetti concreti e astratti, concetti, forme, narrazioni, metodi, classi etc. Tali gerarchie di valori possono essere più o meno condivise tra le persone e, in quanto oggetti di condivisione, possono assumere un valore sociale sovrapposto al valore intrinseco.
Vi fate mai domande come queste: quanto valgo? Per chi valgo? Per chi non valgo? Perché valgo? Perché non valgo? Chi vale di più? Io credo che la nostra felicità dipende anche dalle risposte che diamo a tali domande. Infatti lo status sociale (così importante per ognuno di noi) coincide, a mio avviso, col valore che gli altri ci attribuiscono, e il nostro valore (passato, presente e potenziale) coincide con il bene che abbiamo fatto, che stiamo facendo e che possiamo fare ad altre persone. Fare del bene ad una persona significa farla sentire bene, ovvero contribuire alla soddisfazione dei suoi bisogni, e a tale fine dobbiamo conoscere i bisogni altrui. Quanto li conosciamo? Quando e quanto li prendiamo in considerazione? Quanto ci diamo da fare per soddisfarli?
La maggior parte degli umani ha una tale paura inconscia di non valere abbastanza agli occhi altrui, di valere meno degli altri, che non vuole nemmeno pensare al valore, e tanto meno parlarne, se non in un modo mistificato e politicamente corretto, che assegna ad ogni umano lo stesso valore, il che svuota tale termine di significato, confondendolo con quello di diritto universale al rispetto.

Infatti, per i più, parlare di valore umano come differenza, cioè come qualità differenziale, come fattore di individuazione, di distinzione, di status intellettuale e morale relativo e diversificato, misurabile, confrontabile, tutto questo è tabù in quanto causa di disagio, di irritazione, di ostilità, di discordia, di angoscia, e per questo è oggetto di rimozione in senso sia psicoanalitico che politico.

A mio parere la nostra società è in declino intellettuale e morale anche a causa di tale rimozione.
Per ogni umano, ogni ente (persona, cosa, idea, titolo, categoria, gruppo, oggetto, impresa, organizzazione, testo ecc.) possiede e conferisce un certo valore e un certo status.

Il valore/status di un ente per una persona è il valore e il conseguente status che la persona acquista possedendolo, facendone parte, o facendosi possedere da esso.

Per ogni ente, compresi noi stessi, dovremmo chiederci, quale valore/status il mio inconscio attribuisce a questo ente?

Dovremmo immaginare un'etichetta affissa su ogni ente, compresi noi stessi, con su scritto "valore/status: .....".

Per liberarci dalla tirannia del bisogno di valore/status e della competizione che tale bisogno comporta, dobbiamo prendere coscienza del fatto che ne siamo quasi tutti dominati inconsapevolmente.
Ho l'impressione che la società attuale non premi la saggezza, la conoscenza, l'onestà, la diligenza, il coraggio, ma piuttosto la ricchezza, la bellezza, il potere, il lusso, la competitività, il successo, la conformità alle mode e alle tradizioni. Se è così, nessuno è incentivato a diventare più saggio, più colto, più onesto, più diligente, più coscienzioso, più coraggioso, più intelligente, più originale.

Inoltre mi sembra che i mass media, il commercio, la politica, la cultura, per avere il massimo successo di pubblico, l'audience più vasta, tendano ad elogiare la mediocrità in quanto qualità prevalente nelle masse, ed in tal modo la incentivano, in un circolo vizioso.

Ho la sensazione che siamo entrati definitivamente nell'era della dittatura della mediocrità e della ruffianeria, grazie soprattutto alla televisione commerciale e a Internet, che danno ampio spazio a contenuti-spazzatura che vengono poi condivisi in tempo reale.
La questione «filosofica» sulla speranza, realistica o illusoria che sia, a mio avviso è quale sia il suo valore, ovvero se sia una cosa buona o cattiva, utile o nociva, e in quale misura. Ebbene, io penso che anche una speranza illusoria e non realistica possa essere utile nella misura in cui ci infonde serenità, piacere, coraggio e la forza di sopravvivere e di andare avanti. Credo che anche Leopardi fosse di questo avviso. Infatti le religioni sono una fonte di speranza e il loro successo è dovuto anche a questo aspetto. Una speranza è nociva solo se ci fa incvestire le nostre limitate risorse materiali e mentali in un progetto destinato sin dall'inizio al fallimento, o a rivelarsi inutile, piuttosto che ad un progetto alternativo con maggiori probabilità di successo e di utilità. Per utile intendo ciò che ci rende felici, che ci dà piacere o gioia, che aumenta la nostra salute, che facilita la cooperazione sociale, ecc.
https://blog.cancellieri.org/sul-valore-della-speranza/
Essere valutati positivamente dagli altri è indispensabile per avere la loro cooperazione, senza la quale non possiamo sopravvivere né soddisfare i nostri bisogni.

Essere svalutati dagli altri è infatti orribile per l'inconscio e per la coscienza, perciò siamo costantemente in ansia e sulla difensiva contro tale sinistra eventualità.

Qui per «svalutazione» intendo una valutazione che riguarda un'aspetto ritenuto socialmente importante dalla persona svalutata, e che è inferiore a quella che essa attribuisce a se stessa.

Inoltre, certi individui sentono il bisogno di svalutare certi altri per rivalutare se stessi quando la propria autostima vacilla o quando si sentono sottovalutati dagli altri.

Questo bisogno è tenuto a bada dal principio morale (non scritto ma molto diffuso) in base al quale chi svaluta qualcuno ingiustamente merita di essere svalutato in quanto persona ingiusta.

Perciò ognuno cerca di giustificare le svalutazioni che proclama (direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente) o di negarle quando non riesce a giustificarle.
Nessuna cosa ha valore in sé. Il valore di una cosa è sempre relativo alla sua utilità per qualche altra cosa.

Perciò il valore di una persona, e di conseguenza il suo status sociale, non è determinato dal valore che la persona attribuisce a se stessa.

Il valore di una persona è in realtà determinato dal valore che gli altri attribuiscono alla persona stessa e alle sue appartenenze attive e passive.

È infatti considerato arrogante e presuntuoso colui che si attribuisce un valore o uno status indipendentemente da quelli che altri gli attribuiscono.

Tuttavia una persona può stimare il suo valore e il suo status potenziali, e operare al fine che essi si realizzino.

Inoltre, il valore attribuito ad una cosa si ripercuote su ogni suo appartenente (componente, membro, elemento), su ogni suo possessore e sugli insiemi a cui la cosa appartiene.
Ci sono quelli che si sopravvalutano, quelli che si sottovalutano e quelli che si valutano realisticamente. Fin qui possiamo essere tutti d’accordo. Ma se volessimo stabilire un criterio per determinare l’appartenenza di una persona ad uno dei tre gruppi, credo che ci sarebbero opinioni diverse, tra cui una che afferma l’impossibilità di stabilire un criterio generale di valutazione.

Che significa “valutarsi” o "valutare un essere umano"? Come si fa? Rispetto a quali valori e con quale metro?

La mia opinione è che la misura generale del “bene” è la soddisfazione dei bisogni umani propri e altrui, dal momento che, data la nostra interdipendenza, per soddisfare i nostri bisogni abbiamo bisogno della cooperazione altrui, la quale è ottenibile solo se il cooperante può, cooperando, ottenere direttamente o indirettamente la soddisfazione dei bisogni propri.

Di conseguenza, la valutazione generale di una persona X (che può essere anche sé stesso) dovrebbe essere la risposta alla domanda: in quale grado X è capace di soddisfare i propri bisogni e quelli altrui?
Le filosofie sono un po' come le religioni, le une contro le altre armate, quindi non possono essere tutte vere, e non tutti i filosofi possono essere saggi e/o onesti. A mio avviso, e anche a quello di eminenti filosofi, anche tra i mostri sacri della filosofia ci sono i ciarlatani, specialmente tra quelli che usano un linguaggio oscuro e "non falsificabile", che pochi si vantano di saper "interpretare".

Prendiamo ad esempio due filosofi tra i più famosi e riveriti: Hegel e Schopenhauer. Il secondo considerava il primo peggio che un ciarlatano, una rovina per lo sviluppo della filosofia, e non si può dire che il suo giudizio fosse dovuto a incompetenza filosofica. Per quel poco che conosco Hegel, credo che Schopenhauer avesse ragione.

La storia della filosofia e il mondo accademico dovrebbero dare più spazio alle feroci polemiche tra filosofi, invece di presentarli tutti come egualmente degni di rispetto e portatori di verità, ognuno a suo modo.

Trovo deplorevole che molti professori di filosofia non osino prendere posizione contro alcun filosofo famoso. La vedo come una mancanza di coraggio e di onestà intellettuale.
Il valore di una cosa è la misura della sua desiderabilità o necessità per la soddisfazione di uno o più bisogni o desideri di uno o più esseri umani.

Un valore può essere oggettivo, soggettivo o convenzionale, o una combinazione di queste qualità.

Un valore è oggettivo se vale per ogni essere umano di ogni età, sesso, cultura, religione, costituzione fisica e mentale, in ogni tempo e luogo. In tal senso i valori oggettivi si riducono alle cose indispensabili per la sopravvivenza, come l’aria, l’acqua, il cibo, e il riparo in caso di condizioni atmosferiche avverse.

Un valore è soggettivo se vale solo per alcune persone e non per altre, ovvero se soddisfa i bisogni o i desideri solo di alcune persone, o se soddisfa bisogni o desideri che non tutti gli umani hanno.

Un valore è convenzionale se costituisce un segno distintivo di una certa comunità e viene considerato come valore dalla maggioranza dei suoi membri. In tal senso, i valori convenzionali di una certa comunità soddisfano il bisogno di appartenenza e/o di status nell’ambito della comunità stessa.

Chiediamoci dunque di che tipo sono i nostri valori, e quali bisogni o desideri essi soddisfano.
Analogamente al concetto di desiderio mimetico di René Girard, ho coniato il concetto di apprezzamento mimetico (con i sinonimi valutazione mimetica, o apprezzamento/disprezzo mimetico). Con questo termine intendo la tendenza naturale di una persona ad apprezzare o disprezzare le cose che sono rispettivamente apprezzate o disprezzate da persone che essa apprezza positivamente.

All’opposto, ho coniato il concetto di apprezzamento antagonista (con i sinonimi valutazione antagonista, o apprezzamento/disprezzo antagonista). Con questo termine intendo la tendenza naturale di una persona ad apprezzare o disprezzare le cose che sono rispettivamente disprezzate o apprezzate da persone che essa disprezza.

Schematicamente: se A apprezza B (il quale apprezza C e disprezza D), allora A tende mimeticamente ad apprezzare C e a disprezzare D. Se invece A disprezza B (il quale apprezza C e disprezza D), allora A tende antagonisticamente a disprezzare C e ad apprezzare D.

L'apprezzamento/disprezzo mimetico è alla base del conformismo. L’apprezzamento/disprezzo antagonista è alla base delle discordie tra individui e tra popoli.
Il comportamento dell’uomo è determinato dalle proprie valutazioni consce e inconsce.

Oggetto delle proprie valutazioni sono tutte le cose (concrete e astratte) e le persone che esso è in grado di riconoscere, compreso se stesso.

L’uomo è dunque valutatore e valutato.

Tra due persone A e B, la valutazione di B da parte di A è influenzata dalla valutazione di A da parte di B (così come percepita da A). In altre parole, quanto più positivamente A valuta B, tanto più positivamente B valuta A, e quanto più negativamente A valuta B, tanto più negativamente B valuta A. Ovviamente A e B possono essere scambiati.

Dato che la cooperazione sociale richiede una valutazione positiva reciproca tra i contraenti, e dato che ogni umano ha bisogno di cooperazione, ogni umano si comporta in modo da essere valutato meglio possibile dagli altri, è contento quando la sua valutazione sale, ed è angosciato quando teme che la sua valutazione media da parte degli altri diminuisca.

Infatti, una domanda che l’inconscio si pone continuamente è: come mi valuteranno gli altri per ciò che sto facendo e per ciò che non sto facendo?

Più dei danni che robot o chat dotati di IA potrebbero provocare, ciò che turba molti di noi (ma non tutti) è l'idea conscia o inconscia che in realtà siamo macchine (anche se al posto di semiconduttori abbiamo cellule viventi), e che ci siano o ci saranno macchine più intelligenti di noi, che perciò ci renderanno sempre più inutili e irrilevanti.

Infatti, più aumenta il valore (cioè la capacità cognitiva) della IA, più l'uomo viene svalorizzato (cioè la capacità cognitiva dell’uomo viene svalorizzata).

In tal senso, il fatto che le macchine non possano provare sentimenti, e che non abbiano una coscienza, non ci rassicura, anzi ci turba ancora di più.

Infatti, sempre più spesso avremo a che fare con macchine più intelligenti di noi e libere dalle costrizioni dei nostri sentimenti e della nostra coscienza.

D'altra parte una IA può simulare razionalmente coscienza e sentimenti (se programmata in tal senso), come fanno anche certi umani.

A questo punto, più che interrogarci sul tipo di intelligenza della IA, dovremmo interrogarci su cosa sia veramente l'intelligenza umana, e su come funzioni, tema sul quale abbiamo ancora tanto da scoprire e da capire. Le neuroscienze ci sorprenderanno.
Il valore di una cosa o di una persona può essere di vari tipi, tra cui:

- dispensabile / indispensabile

- sostituibile / insostituibile

- personale / commerciale

- temporaneo / permanente

- consumabile / non consumabile

- rinnovabile / non rinnovabile

- gratuito / costoso

- morale / amorale

- edonistico / non edonistico

- diretto / indiretto (strumentale)

- estetico / non estetico

- politico / non politico

- pro status (competitivo) / non pro status (non competitivo)

- pro sicurezza / non pro sicurezza

- pro cooperazione / non pro cooperazione

- pro appartenenza / non pro appartenenza
Ogni cultura comporta la celebrazione di certi valori (etici, estetici, intellettuali, economici, artistici, sportivi ecc.). Assistendo a tali celebrazioni, o effettuandole in prima persona, ogni membro di una comunità valuta automaticamente se stesso e gli altri in relazione ai valori celebrati.

In altre parole, i valori sociali condivisi e celebrati da una comunità sono “incarnati” nel comportamento dei suoi membri, e danno luogo ad attribuzioni comparative (implicite o esplicite) di valore ai singoli membri, corrispondenti alle misure in cui essi incarnano i valori stessi.

Allo stesso tempo, la gente si sente obbligata a celebrare i valori della propria comunità di appartenenza, per il timore, se non lo facesse, di essere emarginata a causa di una non evidente incarnazione dei valori stessi.

Ne consegue che ogni persona acculturata, col suo comportamento, celebra (implicitamente o esplicitamente) i valori sociali in cui suppone (consciamente o inconsciamente) di essere sufficientemente competitiva, adeguata, o rispetto ai quali vuole apparire conforme, al fine di confermare la propria appartenenza alla comunità da essi caratterizzata.
Ogni scrittore o predicatore cerca di indurre i suoi lettori o ascoltatori ad apprezzare, lodare o adorare certi valori che egli incarna, possiede, descrive, rappresenta, persegue, vive o agisce in misura eccellente (realmente o come ingannevole apparenza). 

Un lettore o ascoltatore che accetta un certo valore come tale, cioè come uno dei propri riferimenti filosofici (cognitivi, etici o estetici), si trova automaticamente posto in una scala gerarchica corrispondente al valore stesso.

Infatti ogni lodatore, apprezzatore o adoratore di un certo valore misura continuamente (consciamente o inconsciamente) il grado di ottemperanza proprio e altrui riguardo ad esso, cioè il grado in cui quel valore è incarnato, posseduto, rispettato, rappresentato, perseguito, vissuto, agito da ogni persona considerata.

Inoltre, un valore, se è sinceramente (cioè con fede) considerato tale, comporta una motivazione alla sua realizzazione e una competizione (tra coloro che lo condividono) per raggiungere e mantenere il livello di realizzazione più alto possibile. Questo vale per tutti i tipi di valore, da quelli più “materiali” o “economici” a quelli più “spirituali” o “morali”.
Cooperazione, competizione, valore, status, vergogna. Questi cinque concetti sono tra loro strettamente legati.

La cooperazione è per l'uomo indispensabile, vitale. Al fine di cooperare nel modo migliore possibile, cioè nel modo più produttivo, gli umani competono per avere i partner/compagni/collaboratori migliori o più attraenti, e per essere più attraenti  o migliori come partner/compagni/collaboratori.

Il valore di una persona è la misura della sua competitività in tal senso.

Il valore di una cosa è funzione di quanto il suo possesso contribuisce ad accrescere il valore, e quindi la competitività, del possessore. 

Lo status è il valore comparativo attribuito ad una persona dagli altri, ed indica il suo grado di desiderabilità come partner/compagno/collaboratore.

La vergogna è il sentimento che si prova quando si ritiene di non valere abbastanza, cioè di non avere uno status abbastanza alto, ovvero di non essere abbastanza competitivi nel senso sopra descritto.

In altre parole, ci si vergogna se si pensa di non essere abbastanza desiderabili come partner, ovvero di non avere abbastanza potere né risorse per indurre o costringere gli altri a cooperare.
J'ai demandé à Bard de rédiger une introduction (en 100 mots maximum) au thème "Généalogie de la valeur et des valeurs" en vue d'une discussion dans un éventuel café philosophique.

Voici sa réponse.

"Le concept de valeur est l'un des concepts les plus importants de la philosophie. Il nous permet de comprendre ce qui est important pour nous, ce qui donne un sens à notre vie. Mais d'où viennent les valeurs ? Comment se forment-elles ?

La généalogie de la valeur et des valeurs est une approche qui étudie les origines et l'évolution des valeurs. Elle repose sur l'idée que les valeurs ne sont pas immuables, mais qu'elles sont le produit de facteurs historiques, sociaux et culturels.

Dans un café philosophique, nous pourrions discuter de ce sujet en commençant par quelques questions fondamentales :

  • Quelles sont les origines des valeurs ?
  • Comment les valeurs se forment-elles ?
  • Les valeurs sont-elles universelles ou relatives ?
  • Les valeurs changent-elles avec le temps ?
Ces questions nous permettront d'explorer la complexité du concept de valeur et de réfléchir à notre relation avec les valeurs qui nous guident.

Quelques pistes de réflexion

  • La généalogie de la valeur et des valeurs peut s'appliquer à différents domaines, tels que la morale, la politique, l'économie, l'art et la religion.
  • La discussion sur ce sujet peut être utile pour mieux comprendre notre société et la culture dans laquelle nous vivons.
  • La généalogie de la valeur et des valeurs peut nous aider à développer un regard plus critique sur les valeurs qui nous sont transmises.
Conclusion

La généalogie de la valeur et des valeurs est un sujet complexe et stimulant qui peut nous aider à mieux nous comprendre et à mieux comprendre le monde qui nous entoure."
Ognuno valuta, consciamente o inconsciamente, ogni altro (nella misura in cui lo conosce) e se stesso.

La valutazione può essere generale o riguardare particolari aspetti o capacità della persona valutata.

Considerando due persone X e Y, sono possibili le seguenti valutazioni da parte di X:

  • <xx> il valore che X attribuisce a se stesso
  • <xy> il valore che X attribuisce a Y
  • <xyx> il valore che X ritiene che Y attribuisca a X
  • <xyy> il valore che X ritiene che Y attribuisca a se stesso
Le valutazioni sono normalmente comparative. Le comparazioni più importanti sono le seguenti. I temini "superiore" e "inferiore" possono essere sostituiti rispettivamente dai termini "migliore" e "peggiore".

  • La comparazione <xx> : <xy> è quella cha fa ritenere a X di essere superiore o inferiore a Y.
  • La comparazione <xyy> : <xyx> è quella che fa ritenere a X che Y si ritenga superiore o inferiore a X.
  • La comparazione <xy> : <xyy> è quella che fa ritenere a X che Y si sopravvaluti o si sottovaluti.
La comparazione più problematica è la <xyy> : <xyx> (quella che fa ritenere a X che Y si ritenga superiore o inferiore a X) perché da essa dipende la simpatia o l’antipatia che X prova per Y.

Ovviamente tutte le valutazioni sono soggettive.
Nel discorso che sto facendo, per forma intendo qualsiasi configurazione sensoriale o testuale, analogica o digitale, riconoscibile da un essere umano, e per valore, un certo grado di verità, di bontà o di bellezza che può essere attribuito ad una forma.

Una forma può essere costituita da un oggetto, da una persona, da un'immagine, da uno stile, da un'idea, da un'ideologia, da una parola, da un'affermazione, ecc.

In tal senso, possiamo dire che ogni essere umano attribuisce soggettivamente (consciamente o inconsciamente) certi valori a ogni forma che è capace di riconoscere.

Il comportamento di un essere umano è influenzato dai valori che egli attribuisce (consciamente o inconsciamente) alle forme da lui riconosciute, e dalla sua conoscenza dei valori che altre persone persone attribuiscono alle stesse forme.

Intendo dire che ogni essere umano è sentimentalmente e/o cognitivamente attratto dalle forme per lui più vere, più buone e più belle, e prova repulsione per quelle per lui più false, più cattive e più brutte.

Come avviene l'attribuzione dei valori alle forme apprese?

L'attribuzione di valori può essere "insegnata" da altri come parte di una educazione, o di una imitazione, oppure può essere originale, cioè avvenire spontaneamente, creativamente, in base a esperienze e a riflessioni personali del soggetto.

L'attribuzione di valore può essere più o meno "sana" in senso psicopatologico in quando può dare luogo a comportamenti più o meno favorevoli alla soddisfazione dei bisogni della persona.

La psicoterapia dovrebbe esaminare le attribuzioni di valore memorizzate nella mente del paziente al fine di individuare quelle non sane e correggerle.

 

 

 
Ogni comunità (gruppo, organizzazione, associazione, società ecc.) è caratterizzata da valori condivisi dalla maggioranza dei membri della comunità stessa. Un valore implica il fatto che chi lo possiede, lo incarna o lo produce in una certa misura “vale” più (cioè è più rispettabile e pregevole) di chi lo possiede, lo incarna o lo produce in misura inferiore. Infatti, possiamo dire che ogni valore implica una gerarchia nella quale ogni persona occupa una posizione più o meno alta. In altre parole, è sempre possibile confrontare le posizioni gerarchiche di due persone rispetto ad un certo valore, ed è molto probabile che una delle due si trovi più in altro rispetto all’altra nella relativa gerarchia sociale.

Non dobbiamo pensare alle gerarchie solo in termini di potere politico, di comando o di dominazione, ma anche in termini di moralità, di intelletto e di dignità in generale. Per esempio, in una comunità in cui il valore dell’altruismo è tenuto in grande considerazione, esiste una scala gerarchica dell’altruismo, per cui alcuni vengono considerati più altruisti di altri, e rispettati e stimati di conseguenza. E’ anche vero che a volte una posizione alta in una gerarchia “morale”, consente di ottenere una posizione alta anche in una gerarchia politica e/o economica.

Tra i valori tipici delle società industriali più avanzate, troviamo: l’intelletto, la conoscenza, la capacità di governare, l’autocontrollo, l’altruismo, la saggezza, la preveggenza, la bellezza del proprio corpo, la bellezza dei propri averi, la salute, la forza fisica, la popolarità, il successo ecc.

La logica che ho descritto è fortemente radicata nella mente di ogni essere umano (soprattutto a livello inconscio) e determina molti comportamenti sociali e molti sentimenti gradevoli o sgradevoli. Infatti ogni persona tende ad occupare e a mantenere le posizioni più alte possibili nelle varie gerarchie “valoriali” che caratterizzano la comunità a cui appartiene.

Ho chiesto a Bard di scrivere un'introduzione (in un massimo di 100 parole) al tema "Genealogia del valore e dei valori" per una discussione in un eventuale caffè filosofico.

Questa è la risposta.

"Il concetto di valore è uno dei più importanti della filosofia. Esso ci permette di comprendere ciò che è importante per noi, ciò che dà significato alla nostra vita. Ma da dove vengono i valori? Come si formano?


La genealogia del valore e dei valori è un approccio che indaga le origini e l'evoluzione dei valori. Esso si basa sull'idea che i valori non sono qualcosa di immutabile, ma sono piuttosto il prodotto di fattori storici, sociali e culturali.


In un caffè filosofico, potremmo discutere di questo tema partendo da alcune domande fondamentali:




  • Quali sono le origini dei valori?
  • Come si formano i valori?
  • I valori sono universali o sono relativi?
  • I valori cambiano nel tempo?

Queste domande ci permetteranno di esplorare la complessità del concetto di valore e di riflettere sul nostro rapporto con i valori che ci guidano.


Alcune idee per la discussione




  • La genealogia del valore e dei valori può essere applicata a diversi ambiti, come la morale, la politica, l'economia, l'arte e la religione.
  • La discussione di questo tema può essere utile per comprendere meglio la nostra società e la cultura in cui viviamo.
  • La genealogia del valore e dei valori può aiutarci a sviluppare una visione più critica dei valori che ci vengono trasmessi.

Conclusione


La genealogia del valore e dei valori è un tema complesso e stimolante che può aiutarci a comprendere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda."

Si fa presto a parlare di “autostima”, senza rendersi conto che tale concetto implica valutazioni consce o inconsce che possono avere gravi implicazioni sociali e perfino causare disturbi psichici.

Infatti, la stima e l'autostima (che è una specie particolare di stima) sono sempre relative, anzi, comparative. Perché si stima sempre in relazione a una scala di valori, e più precisamente stimare qualcosa o una persona equivale ad assegnare ad essa un certo grado in una scala che va da un valore più basso ad uno più alto.

Inoltre, quando l’oggetto della stima è una persona, la stima si riferisce normalmente ad un valore medio tra quelli attribuiti ai membri del gruppo o della comunità a cui si appartiene. Pertanto chi si autostima assegna a se stesso un valore uguale a quello medio oppure più alto o più basso. ed allo stesso modo egli stima anche gli altri membri della società. Di conseguenza, autostimarsi equivale a porsi ad un grado superiore, uguale o inferiore rispetto a ciascun'altra persona.

Tale "confronto" avviene tuttavia per lo più inconsciamente, dal momento che la società in cui viviamo considera politicamente scorretto fare confronti di valore tra persone, tanto più se si misura il proprio valore rispetto a quello altrui.

Il risultato è uno stress psichico dovuto al conflitto tra il bisogno di "valere" almeno quanto la media degli altri, e il divieto “culturale” di confrontare apertamente il proprio valore con quello altrui.

Infatti, nel caso in cui uno si stimi superiore al valore medio della comunità di appartenenza, ne deriva che egli stima la maggior parte degli altri come inferiori a se stesso. Ciò è considerato, nella nostra società, peccato di arroganza e viene normalmente punito in vari modi, fino all’emarginazione o all’isolamento sociale.

L'autostima può pertanto generare sensi di colpa e indurre a comportamenti limitanti come, ad esempio, rinunciare ad eccellere, fallire in  qualche progetto o commettere errori che ci riportino ad un grado inferiore nella scala dei valori personali. Tutto ciò al fine di riguadagnare la benevolenza degli altri e di cancellare l'accusa o il sospetto di arroganza.
Il valore di un essere umano è assoluto nel senso che tutti gli esseri umani hanno gli stessi diritti, sanciti dalla dichiarazione dell'ONU del 10/12/1948. Tuttavia possiamo, e dovremmo, parlare di un valore individuale relativo, diverso a seconda delle persone particolari a cui si riferisce e degli obiettivi delle relazioni stesse.

E' ciò che io chiamo valore pragmatico, o valenza, ovvero il valore relativo ai fatti concreti di cui una persona può essere soggetto e/o oggetto. Considerato che la soddisfazione dei bisogni umani è, secondo me, la misura di ogni valore umano, ho definito i seguenti concetti.

La valenza individuale di una persona A relativamente a una persona B consiste nella disponibilità e capacità di A di soddisfare i bisogni (desideri, pulsioni, motivazioni, interessi, aspirazioni ecc.) di B.

La valenza sociale di una "cosa" (oggetto, proprietà, rito, procedimento, tipo di comportamento, conoscenza, opinione ecc.) relativamente ad una comunità, corrisponde al credito di accettazione che esso conferisce ad una persona che possiede o pratica la cosa, riconosciuto dai membri della comunità stessa.

Il credito di accettazione ottenuto da una persona rispetto ad una certa comunità comportandosi in un certo modo è una misura della dignità sociale acquisita dalla persona stessa relativamente all'appartenenza a quella comunità. In altre parole, una persona che, comportandosi in un certo modo, ha acquistato un certo credito di accettazione rispetto ad una certa comunità, può sperare di essere accettato da quella comunità in misura corrispondente al credito stesso.

Il debito di accettazione è un credito di accettazione negativo, corrispondente all'indegnità sociale acquisita dalla persona relativamente all'appartenenza ad una certa comunità. Il debito di accettazione comporta sensi di colpa più o meno consci o inconsci, e può ridursi fino ad estinguersi attraverso comportamenti tali da ottenere crediti di accettazione tali da compensare e superare il debito acquisito.
(Mio intervento al caffè filosofico di Lione il 5/4/2022 sul tema "Si può parlare dell'assurdo senza parlare del caso?")

Per gli esistenzialisti, e in particolare per Sartre e Camus, è assurda la condizione umana, in quando senza senso, senso, senza significato e senza ragione d’essere.

Io sono contrario all’uso che gli esistenzialisti hanno fatto dell’aggettivo “assurdo” applicato alla vita umana. Tale uso è secondo me fuorviante.

Infatti, secondo il dizionario Larousse, per assurdo s’intende in primo luogo “ce qui est contraire à la raison, au sens commun, qui est aberrant, insensé”.

Ebbene, in tal senso io non credo che la vita sia “assurda”. Penso piuttosto che essa non abbia uno scopo desiderabile o accettabile in senso antropomorfico, e infatti penso che sia governata dal caso e dalla necessità come dice il titolo del celebre libro di Jacques Monod, Ma non vedo nella vita quelle contraddizioni logiche e quei fatti contrari al senso comune, che giustificherebbero l’uso del l’aggettivo “assurdo”

Trovo in realtà la vita tutt’altro che assurda. Infatti la trovo piuttosto
regolare, fin troppo regolare, nel senso che ha delle leggi che non vengono mai contraddette.

Incerta sì, misteriosa sì, ma non assurda anzi, molto prevedibile.

Assurdo è un termine dispregiativo, che usiamo spesso verso ciò che ci ripugna o ci addolora.

Per quanto riguarda il caso, anch’esso mi sembra tutt’altro che assurdo.

Il caso è ambivalente: da una parte ci sconforta, dall’altra ci diverte. Da una parte ci sconforta se dà luogo a eventi indesiderati, e se pensiamo che noi umani siamo il risultato di mutazioni casuali; d’altra parte ci diverte in quanto ci permette delle variazioni e ci riserva delle sorprese, senza le quali la vita sarebbe monotona.

Il fatto che siamo il risultato di mutazioni casuali non è assurdo, ma, al contrario, è molto logico, e ha le sue “ragioni” e la sua utilità rispetto alla conservazione e all’evoluzione delle specie viventi. Il problema è che tale “verità” contraddice quelle religiose e ci lascia senza valori predefiniti.

Gli stessi valori sono dunque il risultato di mutazioni casuali, e questo ci sconcerta, perché significa che sta a noi definirli e cambiarli, con tutti i rischi sociali che ciò comporta.

Per finire, credo che nulla sia assurdo al di fuori delle conoscenze false e delle speranze infondate, conoscenze e speranze con le quali le religioni cercano di soggiogarci.
Dal vocabolario Treccani: “Meritocrazia: concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e specialmente le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro; … [per alcuni si tratta di una] valida alternativa sia alle possibili degenerazioni dell’egualitarismo sia alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione dei posti di responsabilità.”

A mio parere il concetto di meritocrazia comporta una serie di problemi, tra cui i seguenti:

  • è giusto che le responsabilità direttive nelle organizzazioni siano affidate a persone più meritevoli e non in base all’anzianità, al caso o ad altri criteri?
  • è possibile stabilire con certezza i meriti comparativi delle persone o dobbiamo pensare che tutte le persone siano egualmente meritevoli?
  • quali dovrebbero essere gli ambiti delle valutazioni meritocratiche? (intelligenza, onestà, comprensione, simpatia ecc.)
  • quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un responsabile direttivo?
  • chi può stabilire i meriti delle persone?
A mio parere non si può parlare di merito in generale, ma solo di merito rispetto ad un certo scopo e a un certo contesto organizzativo, nel senso che uno può essere più meritevole in un certo tipo di organizzazione o funzione, e meno meritevole in altri.

Detto ciò, la valutazione difficilmente può essere oggettiva, per cui ogni dirigente è responsabile di valutare i meriti delle persone ad esso subordinate già assunte o da assumere.

Resta il fatto che ci saranno sempre divergenze di opinione sul merito delle persone. Basta considerare le opinioni dei votanti riguardo ai vari politici, oppure il fatto che spesso l’auto-valutazione del merito non corrisponde con quella fatta dal proprio superiore gerarchico.

In ogni caso è sempre meglio la meritocrazia (quantunque imperfetta) che l’assegnazione di posti di responsabilità sulla base delle amicizie o delle alleanze politiche.

Concludo con un mio aforisma: I meno meritevoli temono la meritocrazia.
Il verbo “preferire” ha un posto importantissimo nella mente umana. Il vocabolario Treccani lo definisce come segue: “Anteporre (nella stima, nell’affetto, nella simpatia, nella valutazione dei vantaggi o dei piaceri che se ne possono trarre) una persona o una cosa a un’altra o ad altre“.

Da un punto di vista psicologico, occorre notare che ogni preferenza costituisce una gerarchia, una scala di valori dal più alto al più basso, sulla quale collochiamo cose, persone, idee ecc., e sulla quale gli altri ci possono collocare. Infatti, preferire l’ente A all'ente B significa attribuire ad A un maggior valore rispetto a B, nel senso che si ritiene A più gradevole, più simpatico, più utile, più soddisfacente di B; significa anche che, potendo scegliere, scegliamo ciò che preferiamo per quanto riguarda un acquisto, una relazione, un'interazione, una cooperazione, un'associazione ecc.

In tale contesto le preferenze danno luogo a problemi sociali di grande portata. Infatti, se una persona X preferisce la persona A alla persona B, quest’ultima potrebbe sentirsi rifiutata da X e soffrirne. Per tale motivo l’etichetta ci raccomanda di tenere per quanto possibile nascoste le nostre preferenze riguardo alle persone con cui interagiamo normalmente, vale a dire di “fingere” di attribuire lo stesso “valore” a ognuna di loro.

In una contesto di tre persone, un soggetto può trovarsi ad assumere il ruolo di preferente (persona X), di preferito (persona A) o di non preferito (persona B).

Quando il soggetto è il preferito, è normalmente contento. Deve tuttavia guardarsi dalla eventuale gelosia e invidia della persona non preferita.

Quando il soggetto è non preferito, può sentirsi frustrato, perdere l’autostima, sviluppare gelosia e invidia verso la persona preferita, sentirsi vittima di un’ingiustizia ed eventualmente tentare di screditare la persona preferita agli occhi del preferente.

Esercitare una preferenza include il confrontare il valore proprio con quello di un’altra persona oppure il confrontare il valore delle proprie idee con quello delle idee dell’altro. Infatti, consciamente o inconsciamente, ognuno di noi, fa questi confronti preferendo normalmente se stesso all'altro o le proprie idee a quelle dell’altro. Anche in questo caso l’etichetta (anche detta “correttezza politica”) ci impone di non dare a vedere al nostro interlocutore che preferiamo le nostre idee alle sue, e la nostra personalità alla sua.

Il succo di tutto questo discorso è che non dobbiamo essere così ingenui da credere che i nostri interlocutori non ci giudichino in modo più o meno favorevole.

Consideriamo infine il fatto che, di solito, su qualsiasi argomento di discussione, ognuno preferisce le idee proprie a quelle altrui.
Ognuno, consciamente o inconsciamente, valuta ogni altro e si sente valutato da ogni altro secondo certe gerarchie (intelletto, etica, estetica, politica, forza fisica, competenza in certe funzioni, conoscenza in certi campi, abilità in certe attività ecc.).

Ogni valutazione reciproca discordante tra due persone può dar luogo ad un conflitto interpersonale per cui ciascuno cerca di indurre l’altro a modificare le valutazioni di se stesso e dell'altro, in modo da renderle coerenti con le proprie.

Chi si sente sottovalutato da un altro, tende automaticamente a pensare che sia l'altro a sopravvalutarsi (dato che il primo presume di essere stato valutato dal secondo in modo improprio).

Se uno si sente sottovalutato dall’altro, e/o ritiene che l’altro si sopravvaluti, cercherà di dimostrargli che ha torto, che è in errore, che ha fatto qualcosa di sbagliato (vale a dire, in altre parole, che vale meno di quanto pensi).

I tentativi di correzione al ribasso della presunta sopravvalutazione vengono solitamente percepiti, da chi li subisce, come umiliazioni, e chi si sente umiliato reagisce solitamente cercando a sua volta di umiliare l'umiliante. Tale dinamica costituisce un circolo vizioso, con un’escalation potenzialmente illimitata.

Se il conflitto si dimostra insanabile e non intervengono fattori di moderazione o di inibizione, ne consegue un’ostilità tra i contendenti che può sfociare nel disprezzo reciproco, nell’offesa, nella violenza e nell’allontanamento unilaterale o bilaterale.

Allo scopo di evitare simili spiacevoli esiti, molti si astengono dal valutare gli altri e dall’autovalutazione, e considerano il giudizio e la critica deleteri, al punto da giudicare male chi giudica, per il solo fatto che esprime giudizi senza avere particolari titoli pubblici per farlo.

Questa fuga dalla valutazione, dal giudizio, dalla critica, nuoce al progresso civile e morale, in quanto ci può essere progresso civile e morale solo criticando i pensieri e i comportamenti erronei propri e altrui.

Pertanto, in caso di divergenze di opinioni con qualcuno, dovremmo cercare di criticare solo le idee che riteniamo errate e non la persona che le esprime, e non dovremmo sentirci svalutati come persone (a meno che l’altro non sia esplicito in tal senso).

L’astensione dalla valutazione “ad personam” è tuttavia alquanto difficile allorché si cerca di analizzare i motivi per cui l’interlocutore pensa, o si comporta, in modo erroneo, dal momento che tali motivi sono spesso psicologici, più che logici, vale a dire che investono la personalità (e quindi la persona) del soggetto.

Infatti un ragionamento può comportare lacune e salti logici (spesso associati a paure e/o a repulsioni) dovuti a particolari strutture cognitive ed emotive dell’inconscio, di cui il soggetto è raramente consapevole.

Dovremmo allora limitarci a dire che certe idee o certi comportamenti del nostro interlocutore sono a nostro avviso erronei, senza avanzare ipotesi o spiegazioni “psicologiche” circa i motivi degli errori.

Così facendo eviteremo tanti conflitti, ma non contribuiremmo a far luce sulle cause psicologiche dei mali della società.